Contenuti aggiuntivi all’interno: Schede di approfondimento – Testo canzone
- PREGHIERA INIZIALE
- FECONDI IN TANTI SENSI
- RILEGGIAMO CON ATTENZIONE
- LA PROMESSA DI CURA PER QUESTA VITA E L’AFFIDAMENTO PER L’ETERNITA’
Dio nostro Padre, da te prende nome, prende forma, prende energie ogni modo di essere padri e madri su questa terra. Tu hai regalato alle tue creature la straordinaria possibilità di partecipare alla tua capacità di generare: dare vita alla nostra coppia, diffondere la gioia, servire la vita di altri, accogliere delle nuove creature.
Fa’ che mettiamo tutto noi stessi a disposizione della vita, in ogni sua forma. L’amore che ha generato noi due si diffonda anche attraverso noi due. Amen.
2. FECONDI IN TANTI SENSI
La prima fecondità della coppia è la coppia stessa: la “nuova creatura” è la comunione che si instaura tra i coniugi, che cresce, si moltiplica, cade e si rialza, di giorno in giorno, proprio come un neonato che col tempo si rafforza.
Un altro campo di fecondità è il contesto in cui vive la coppia: la gioia dell’amore dovrebbe diffondere attorno a sé altrettanta gioia e simpatia in familiari, parenti, amici, colleghi, vicini. Se una coppia non è costruttrice d’amore… dovrebbe porsi almeno la domanda su come mai questo non capita! Un ambito specifico di accoglienza della vita da parte della coppia coniugata è quello relativo all’affido e all’adozione: tanti piccoli non hanno una famiglia e i giovani sposati sono l’ambito dedicato proprio all’accoglienza di chi non ha più una famiglia o non l’ha mai avuta.
Nella Chiesa e nella società, poi, vi sono tantissimi altri ambiti in cui mettere a frutto la propria maternità-paternità: p.e. il servizio a realtà di bisogno (specie per bambini e ragazzi); l’accompagnamento nello studio; la crescita delle vocazioni all’amore coniugale, la vicinanza a coppie che hanno difficoltà.
In tutti questi modi la coppia (con o senza figli “suoi”) può mettersi a servizio specificamente “in due” e crescere nella “fecondità” propria del matrimonio.
Solo dentro questo contesto più ampio di “fecondità” si può cogliere il senso del “generare”.
3. LA FECONDITA’ BIOLOGICA.
Oggi più che mai la fecondità biologica dell’amore di coppia è una questione “posta e da porsi”:
«Le domande: “Perché un uomo e una donna si decidono a fare un figlio? Davvero si “decidono” a tanto? È appropriata l’espressione “fare un figlio”? Un figlio è “fatto”, oppure solo “desiderato”, o addirittura “invocato”, e quindi eventualmente “ottenuto”? E come precisare la qualità del “desiderio” o della “volontà” originaria che presiede alla decisione di generare? A quali condizioni quella decisione può apparire “buona”, può suscitare dunque consenso e gratitudine in colui che appunto in forza di essa viene in questo mondo? Il “sì” alla vita, da parte di chi nasce, è insieme un “sì” all’iniziale “progetto” dei genitori, alle loro attese o in ogni caso al “disegno” che essi avevano nel cuore? Oppure si tratta di un “sì” a un “disegno” altro da quello dei genitori? Come si manifesta e con quale peso questa eventuale differenza tra l’originario “progetto” dei genitori e il disegno a cui invece di fatto consente il figlio? Non sarà forse condannata ad apparire ineluttabilmente arbitraria e prepotente una decisione come quella di dare la vita a un uomo, e con la vita di necessità molto altro – una patria, una lingua, una tradizione, addirittura un’educazione, un carattere? Il genitore, lo voglia o non lo voglia, diventa di fatto come un “destino” per il figlio, cioè una presenza non solo inevitabile, ma in molti modi determinante; tale suo rilievo non riguarda soltanto le condizioni materiali del vivere, ma le forme stesse del carattere, della coscienza e dunque alla fine l’identità del figlio. Come conciliare tale rilievo esorbitante del genitore con la tanto apprezzata e reclamata “autonomia” dell’uomo?» (G. Angelini, Il figlio, 15).
A fronte di queste impegnative domande circa il generare, il sacramento cristiano si propone come il “grembo” adeguato entro il quale la fecondità ritrova il suo senso e le sue coordinate, nel coinvolgimento completo di ciascuno dei protagonisti della grande “opera” del dare la vita.
La fecondità biologica non costituisce dunque un optional, per quanto sublime, della relazione sessuale, ma ne è una peculiare espressione. Il figlio realizza in modo insuperabile e permanente ciò che i due amanti, in modo parziale e temporaneo, divengono nell’unione dei corpi: una sola carne.
Ciò che si vuole evidenziare è la profonda continuità che sussiste tra amore personale e vita biologica. Nella misura in cui si cerca di essere una cosa sola con l’altro/a; nella misura in cui, come sembra invocare ogni coppia di amanti, si vuole essere totalmente l’uno nell’altro/a; nella misura in cui si vuole che questo desiderio si traduca nella realtà dei fatti, la fecondità è parte integrante dell’unione. La vita che nasce non è solo la conseguenza biologica dell’amore: è anzitutto il modo in cui l’amore si manifesta e vive.
L’amore coniugale è il luogo per eccellenza del concepimento, della nascita e della crescita della vita umana. Lo è perché l’amore tra due persone è dono reciproco della propria vita all’altro. L’amore è vita donata; la vita è amore donato. L’amore di coppia, a meno di volerlo penalizzare sottraendogli qualcuna delle sue dimensioni, è consegna totale e reciproca della propria vita. È solo un caso che il desiderio amoroso della coppia spinga l’uno nelle braccia dell’altro/a? Non è l’unione sessuale il simbolo più evidente che l’amore è un darsi all’altro e riceverlo? La procreazione in tal senso non si aggiunge alla vita che scorre nella coppia, ma la incarna. Il figlio che nasce rende coscienti i genitori circa la natura più vera dell’amore, che è quella di darsi all’altro, di dare la propria vita all’altro perché l’altro viva di questo dono. Il figlio è l’amore dei coniugi che prende vita. L’amore coniugale e la vita che in esso e da esso deriva trovano nella legge del dono la loro fisionomia comune. Amore e vita, nella logica del dono, sono la medesima realtà.
Nell’atto del concepire i genitori regalano la vita ad una nuova creatura; e lo fanno in un momento di “splendore” della natura umana: coinvolgimento dei sentimenti, grande attivismo di tutte le componenti biologiche legate ai dinamismi dell’incontro sessuale, piacere che si diffonde in ogni parte del corpo, dell’animo, dello spirito dei coniugi. La dinamica dell’amplesso coniugale aspira e raggiunge un punto di massimo coinvolgimento-piacere, in cui, però, coesistono attimi di “perdita di sé”, tanto possono essere intense le sensazioni provate (orgasmo); dopo questo vertice la coppia “scende” dal livello di massima eccitazione a una più serena intimità, in cui prevale la dolcezza. Tale dinamica raccoglie e ripresenta le armoniche dell’amore pasquale: si dà la vita al partner e insieme si apre la possibilità della vita al figlio attraversando la porta del dono di tutta la propria persona, del perdere la vita, di uscire dal “controllo” di ogni aspetto di sé.
4. LA PROMESSA DI CURA PER QUESTA VITA E L’AFFIDAMENTO PER L’ETERNITA’
Nel momento in cui sono raggiunti e abbracciati dalla grazia di accogliere la “novità della diversità e del futuro”, i genitori sono annunciatori di un amore che getta i suoi semi in ogni ambito vitale: nella Chiesa e nella società essi “adottano” ogni forma di vita, si aprono ad ogni forma di accoglienza, sono “sacramento” di ogni apertura speranzosa al futuro.
Al figlio che nasce i genitori consegnano la speranza di un futuro promettente, sulla base del passato di cui loro due, adulti e maturi, possono e debbono fare memoria.
Questo “futuro” non è garantibile dalla sola coppia genitoriale, la quale non può essere certa nemmeno della sua tenuta; lo stesso dolore del parto è «quasi come una ‘rivelazione’, o meglio un presagio inquietante. Mai come nel momento esatto del parto la vita del figlio appare fragile e minacciata; e la donna in quel momento non può fare nulla» (G. Angelini, Il figlio, 131).
Anche sotto questo aspetto, mettere al mondo un figlio è sempre un gesto di partecipazione al “perdere la vita”: anche il genitore più premuroso deve lasciare ogni presunzione di “proteggere” ogni istante della vita del figlio amato e aprirsi al “con-lavorare” con il coniuge, con altre figure educative, con Dio educatore, per il bene della prole.
Ogni legame e ogni apertura di credito sulla vita futura è sempre un atto di fiducia, affidamento: al futuro stesso, alla società, alla Chiesa, a Dio provvidente.
L’amore “senza fine” che si può provare per un figlio spinge a chiedere per lui ogni bene, il massimo della realizzazione e della felicità. Sappiamo che questa vita – pur con tutti i suoi beni e bellezze – non può garantire questo; i cristiani annunciano una vita da risorti nell’eternità, ad imitazione del Signore Gesù. La creatura che ha visto questa luce terrena vedrà quella del Paradiso: grande dono, grande responsabilità e grande consolazione!